Pianeta Terra, l’ultimo SOS

Un gruppo di scienziati lancia l’allarme: siamo a un passo dal superare i limiti ecologici invalicabili che ci porterebbero alla sesta grande estinzione di massa

Siamo a un passo dal punto di non ritorno. Ancora poco e l’equilibrio che da migliaia di anni (forse milioni) regola il pianeta subi­rà una transizione di fase irreversibile e tutti noi ci ritroveremo in una hot house Earth, su una terra torrida. Lo scenario è stato prospettato da Will Steffen, scienziato del clima dello Stockholm Resilience Centre dell’Università di Stoccolma e da un folto gruppo di suoi collaboratori in un articolo, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, pubblicato sulla rivista PNAS (Proceeding of the National Academy of Science). Non è certo uno scenario tranquillizzante. Ma il clima non è che uno dei planetary boundaries (confini planetari, ma sarebbe meglio tradurre con “limiti ecologici”), che il sistema Terra sta per varcare, forse in maniera irreversibile. Attenzione, però. Perché già nel titolo del loro articolo gli scienziati dello Stockholm Resilience Centre parlano di traiettorie del “sistema Terra” in quella che definiscono una nuova era geologica, l’Antropocene: l’era in cui l’uomo è diventato l’attore principale tra i tanti che operano nell’ambiente globale. Non c’è dubbio che la parola sia fortemente evocativa: ma è una metafora o ha un reale significato scientifico? L’Antropocene non è una semplice metafora. È un concetto scientifico a tutti gli effetti, anche se la sua solidità è ancora da valutare pienamente. Cosa dunque dobbiamo intendere davvero per Antropocene in termini rigorosamente scientifici? L’Anthropocene Working Group (gruppo di lavoro appositamente istituito dall’International Commission on Stratigraphy) lo ha inizialmente definito come quell’intervallo di tempo in cui, da un punto di vista geologico, si sono verificati significativi cambiamenti nell’erosione e nel trasporto dei sedimenti associati ad attività umane. Sulla base di questa enunciazione, il gruppo di lavoro sostiene che l’Antropocene ha avuto inizio con la rivoluzione industriale, intorno al 1880. Il Gruppo ricorda però, che la questione è sub judice e la sua definizione di Antropocene non è stata ancora ufficialmente accettata dalla International Union of Geological Sciences. Per definire l’Antropocene come nuova era geologica, occorre considerare la Terra nella sua interezza e verificare che l’influenza umana compete con, e spesso supera, le normali forze della natura che ne determinano le dinamiche, almeno a livello di biosfera. È comunque assodato che prima della rivoluzione industriale l’economia dell’uomo aveva una dimensione decisamente inferiore a quella della natura. Oggi hanno raggiunto la medesima scala. L’uomo con la sua economia è davvero un attore ecologico globale. “Sebbene la Terra abbia conosciuto molti periodi in cui ha attraversato cambiamenti ambientali significativi, l’ecosistema è rimasto stabile negli ultimi 10.000 anni. Questa stabilità è ora minacciata. A causa della rivoluzione industriale, le azioni umane sono diventate il principale driver del cambiamento globale dell’ambiente” (articolo su Nature degli scienziati dello Stockholm Resilience Centre). In questo articolo gli scienziati individuano i confini che definiscono lo spazio sicuro per le attività umane nel rispetto del sistema Terra. L’individuazione di questi limiti non nasce dal nulla. L’idea va fatta risalire al Club Roma e ai coniugi Meadows, che all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso pubblicarono un’analisi al computer dei limiti della crescita. Utilizzando un modello piuttosto primitivo del sistema Terra, i ricercatori del MIT di Boston giunsero alla conclusione che esistono dei limiti fisici alla crescita economica dell’uomo a causa delle risorse naturali finite.

Malgrado le critiche iniziali, si è visto di recente che l’analisi nelle sue componenti essenziali era accurata. È proseguendo su questa pista di ricerca che Johan Rockstrom, quasi quarant’anni dopo, ha individuato nove grossi limiti, da non superare, per la crescita delle attività umane. Rilevando che qualcuno di questi confini è già stato superato. Ne elenchiamo alcuni.

Quello climatico del pianeta Terra è un classico sistema complesso. Però c’è un fattore che, ce lo dice la storia, ha un valore forse ancora più importante degli altri: la concentrazione in atmosfera di biossido di carbonio, CO2. Prima dell’epoca industriale questa concentrazione nella troposfera, la parte dell’atmosfera prossima alla superficie del pianeta, era di 280 ppm (parti per milione). Di conseguenza, la temperatura media sulla superficie della Terra era di 15°C e tale si è mantenuta negli ultimi dieci o dodici millenni, dopo la fine dell’ultima glaciazione. Negli ultimi due secoli la temperatura media del pianeta è aumentata di 1°C. E questo ha già comportato una serie di conseguenze significative, come lo scioglimento parziale o totale di moltissimi ghiacciai, l’estensione della superficie marina priva di ghiaccio nella stagione estiva in Artico, l’aumento del livello dei mari con erosione delle coste. Ma, malgrado tutto ciò, il confine dell’irreversibilità non è stato ancora superato. Forse possiamo (e dunque dobbiamo) fare ancora qualcosa.

Biodiversità. Non ci sono dubbi, invece, sul fatto che la soglia dell’irreversibilità sia stata raggiunta nell’erosione della specie. Nell’epoca precedente all’Antropocene, ovvero prima dell’economia industriale, si stima che il tasso di estinzione fosse fisiologico e pari a 0,1 estinzioni per milione di specie per anno. Il valore soglia per restare in ambito reversibile è stato posto a dieci estinzioni per milione di specie per anno. Ora siamo da mille a diecimila volte il tasso fisiologico. Con questo ritmo di perdita della biodiversità rischiamo di entrare nella sesta grande estinzione di massa (l’ultima si è verificata 65 milioni di anni fa e determinò la scomparsa dei dinosauri). Per cercare di evitare questa catastrofe, l’entomologo Edward O. Wilson ha proposto due anni fa che l’umanità si ritiri da molti dei territori che occupa e lasci al resto del vivente il 50% della Terra. L’idea viene oggi ripresa da molti suoi colleghi biologi. Oggi l’umanità utilizza il 12% della superficie terrestre. Il confine planetario da non superare, secondo gli scienziati svedesi, è vicino: il 15%.

Azoto e fosforo. Un altro dei settori in cui il limite/soglia è già stato superato è quello del flusso di due elementi essenziali per la vita sulla Terra: l’azoto e il fosforo. Non è, sia chiaro, che l’uomo abbia sottratto troppo azoto alla biosfera. Questo elemento è presente in forma molecolare (come N2) nell’atmosfera in quantità così grandi da sopportare senza sforzo persino la vorace economia umana. Tuttavia l’uomo, con le sue molteplici attività, converte in questo momento più azoto atmosferico di quanto non facciano tutti gli altri organismi viventi messi insieme. Qualcosa di analogo succede col fosforo trasformato. Una volta erano gli oceani a trasferire fosforo alla biosfera terrestre, in ragione di un milione di tonnellate l’anno. Ora è l’oceano a ricevere dalla terraferma quasi dieci milioni di tonnellate/anno di fosforo a causa dei fertilizzanti usati dall’uomo.

Altri confini sono: l’acidificazione degli oceani a causa dell’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. La diminuzione dell’ozono nella stratosfera, chiamato impropriamente “buco dell’ozono” è un limite soglia verso il quale ci stiamo avvicinando. Per cercare di evitare questo già nel 1987 le Nazioni Unite hanno varato il “Protocollo di Montreal” che ha imposto l’eliminazione dei CFC e altre sostanze che attaccano l’ozono stratosferico. Nonostante ciò la concentrazione di ozono stratosferico continua a diminuire.

Negli ultimi anni è emerso anche il problema delle microplastiche che hanno invaso gli oceani e che stanno risalendo la catena alimentare fino all’uomo.

Fonte: Terra Nuova, novembre 2018

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