Piccole economie solidali crescono

semi-di-futuroNelle scorse settimane CFL è stata chiamata ben due volte da realtà appartenenti alla rete di economia solidale per raccontare la sua storia: a Bergamo presso gli amici della cooperativa “Il Sole e la Terra” nell’ambito del ciclo di incontri “Molte fedi sotto il cielo” promosso dalle ACLI, e a Faenza in occasione della fiera “Semi di futuro”, che ogni due anni promuove l’incontro e il confronto delle realtà di economia solidale dell’Emilia Romagna e non solo.

Per entrambi gli eventi il tema “Nuovi modelli e lavoro”. L’economia solidale cresce e si interroga sull’utilizzo di nuovi strumenti, ambisce a fare il salto da strutture ad alto livello di informalità a modello più strutturato e capace di produrre economia “buona”, creare occasioni di lavoro, contaminare la società con modelli innovativi.

Quali sono i soggetti di questo movimento? I GAS innanzitutto, un mondo multiforme e difficile da censire, ma che si stima oggi conti circa 2000 gruppi a livello nazionale. Se si considera che, in Lombardia, ciascun GAS movimenta in media € 30.000 all’anno, si comprende come l’impatto economico di questo movimento sia significativo, oltretutto con aderenti e fatturati in crescita.

Ma crescono anche i anche i DES, Distretti di Economia Solidale, in cui si incontrano produttori e consumatori non solo per la compravendita di merci, ma anche in progetti condivisi di sviluppo del territorio, recupero di prodotti tradizionali, condivisione di buone pratiche. Fanno parte della rete anche un variegato panorama di associazioni e cooperative sociali che offrono prodotti e servizi spesso di qualità molto elevata, producendo nel contempo una quota significativa di benessere sociale. Infine, ma non per ultimi i servizi: la finanza, le assicurazioni, il turismo, anch’essi improntati a principi etici.

Lo chiamano anche “il capitale delle relazioni”: un modello economico basato sulla condivisione e sulla gratuità prima che sul profitto. Una sorta di pacifica ribellione ai mantra dell’economia di mercato, che ha il fulcro in una parola: relazione. Nella “rivoluzione delle reti”, infatti, non ci sono più produttori, distributori, consumatori, ma cittadini con un volto, idee e valori che vogliono conoscere la storia dei prodotti, diventarne co–produttori e vivere la “legge” della convivialità, anziché quella di domanda e offerta. E se è vero che l’economia è una ed è fuorviante parlare di “buona” e “cattiva”, valori diversi generano modelli diversi e l’utilizzo in modo differenti dei medesimi strumenti può fare la differenza anche a livello macro in termini di ricadute sul piano della ridistribuzione delle risorse, dei profitti, del benessere delle persone coinvolte in tutti gli stadi della filiera, per non parlare degli impatti ambientali correlati.

Pur con accenti posti su aspetti differenti a seconda delle diverse esperienze i punti comuni a queste reti sono: la preferenza per i prodotti locali e per i piccoli produttori, la scelta prevalente di prodotti biologici ed ecologici, l’attenzione alle condizioni di lavoro lungo la filiera ed alla legalità, il prezzo equo e costruito in modo trasparente, a garanzia della giusta remunerazione di tutti gli attori della catena di fornitura e del consumatore finale, il gusto: la soddisfazione del palato è protagonista e precede la valutazione estetica. Infine la socializzazione, sia dal punto di vista della creazione di una rete di amicizia e solidarietà tra i componenti del gruppo, sia per consentire un contatto diretto tra produttore e consumatore.

E col crescere di scambi e aderenti, il modello verso cui più ex GASisti si stanno orientando è la cosiddetta “piccola distribuzione organizzata”: negozi di piccola superficie in cui si riesce a mantenere coerenza e relazionalità.

Ma perché a questo mondo interessa l’esperienza di CFL? Perché il percorso della nostra Cooperativa, partita come un gruppo di acquisto solidale, evolutasi in emporio prima e supermercato poi, è ritenuto interessantissimo. Piacciono i valori di partenza e l’intuizione del consumo come atto a valenza politica, l’indipendenza, la non omologazione, il mantenimento della relazione con e fra i soci, il ruolo di riferimento anche culturale sul territorio, la possibilità di “contaminare” la società con modelli positivi. Convincono meno l’affiliazione alla grande distribuzione (anche se non sotto l’insegna altrui), la perdita di contatto con gran parte dei fornitori, l’assortimento con criteri non sempre conformi ai valori originari. Preoccupano la gestione della complessità normativa e operativa, il rischio di perdita di distintività e coerenza, il progressivo allentarsi delle relazioni con i fornitori, la cessione di potere e controllo della filiera alle centrali di acquisto.

Tutti temi interessanti anche per noi, in questo periodo di scelte.

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