La salvezza del pianeta? Il cibo!

Il fatto che in un inserto come L’Extraterrestre, dedicato alla sostenibilità e all’equilibrio che l’uomo deve necessariamente trovare con l’ambiente in cui vive, trovino spazio costante le questioni legate al cibo e all’alimentazione per alcuni potrebbe sembrare strano, una sorta di deviazione dal tema. La realtà è però ben diversa, perché il modo in cui l’umanità produce, trasforma, distribuisce, commercializza e consuma il cibo è un punto centrale per delineare gli scenari di domani mentre comprendere quali sono le tendenze globali a cui stiamo assistendo è cruciale per contestualizzare anche il nostro agire quotidiano.

Partiamo da qualche dato. L’ultimo rapporto della FAO, scritto insieme a IFAD e World Food Programme e intitolato Lo stato di sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo, ci dice che la fame nel mondo è tornata a crescere: nel 2017 il numero di persone denutrite è aumentato toccando 821 milioni di persone, circa una su nove, tornando ai livelli di quasi dieci anni fa. Contemporaneamente, gli adulti obesi sono 672 milioni, oltre uno su otto. Nello stesso tempo, sappiamo anche dall’ultimo rapporto Oxfam che esiste una ristrettissima élite di miliardari che si spartisce la quasi totalità delle ricchezze mondiali: l’1% della popolazione possiede infatti l’82% della ricchezza globale mentre 789 milioni di persone sono in “povertà assoluta”. La forbice tra ricchezza e povertà, quindi, è evidentemente sempre più ampia. A chiudere il cerchio, infine, il fatto che la filiera alimentare è in assoluto il settore produttivo che incide in maniera più pesante nelle emissioni di gas serra nell’atmosfera, con una percentuale sopra il 30% del totale (per capirci oltre i trasporti e l’industria estrattiva messi insieme). È evidente da questi pochi numeri che il problema non è uno solo. O meglio, il problema è il modello economico turbocapitalista oggi dominante, che incarna una logica estrattiva sia per quanto riguarda le risorse naturali sia per ciò che riguarda le relazioni sociali e che si riflette in molti ambiti diversi. Come ci insegna anche Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’, povertà, disastro ambientale e ineguaglianza sono facce diverse di una stessa medaglia e come tali vanno affrontate in maniera complessa e sfaccettata.

In questo senso il cibo rappresenta un paradigma decisivo per innescare il cambiamento. Per quanto la situazione a livello globale appaia compromessa e per quanto i grandi poteri finanziari del nord del mondo sembrino assolutamente impermeabili al cambiamento e inattaccabili, non dobbiamo dimenticarci che ancora oggi il 75% del cibo sul pianeta è prodotto da 500 milioni di piccole aziende agricole a dimensione familiare che a ogni latitudine rappresentano la spina dorsale della sicurezza alimentare. Questa moltitudine è spesso sotto scacco della cosiddetta agroindustria, perché rappresenta il suo opposto. Diversità invece che omologazione, biodiversità invece che monocoltura, equilibrio delle risorse invece che sfruttamento, approccio sistemico invece che utilizzo massiccio di chimica. Proprio qui, su questa linea di demarcazione, si inserisce anche il nostro modo di essere cittadini. È su questo crinale che dobbiamo tornare a essere veramente protagonisti. In fin dei conti, infatti, l’unico modo per auspicare veramente un cambiamento, è quello di promuoverlo ogni giorno con le nostre scelte quotidiane. Non si tratta di illudersi che tutto dipenda da noi come singoli individui, e nemmeno trovare la maniera di pulirsi un po’ la coscienza, al contrario significa prendere coscienza che noi siamo coloro che devono influenzare i processi politici, che devono orientare le scelte dei decisori, che devono pretendere un cambio di paradigma che consenta a tutti di poter aspirare a una esistenza dignitosa e promettente oggi e nel futuro. 

D’altronde fare politica significa uscire tutti insieme da un problema condiviso, e forse mai come in questo momento storico l’umanità condivide un enorme problema, che è quello della propria sopravvivenza su questo pianeta che noi stessi stiamo martoriando. Un’agricoltura che non impatti sull’ambiente, che non distrugga la biodiversità, che non calpesti la dignità di chi lavora la terra è una condizione necessaria e indispensabile per uscire dal problema. Un vero cambiamento, perciò, richiede l’impegno di ognuno, la consapevolezza di avere un’influenza e di essere responsabili non solo del mondo in cui viviamo ma anche di chi questo mondo lo abita insieme a noi ma non ha modo di rivendicarne il diritto. Se il cambiamento deve avvenire su scala globale, dunque, i nostri comportamenti individuali e nostre azioni quotidiane possono orientare il futuro e fare la differenza.

Carlo Petrini

Da: slowfood.it

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