Lo scorso 6 ottobre Treviglio ha dato l’ultimo saluto a Fausto Ferrari, figura storica della cooperazione bergamasca, fra i fondatori della Cooperativa Famiglie Lavoratori e per molti anni colonna della Cooperativa stessa, sua anima e guida. Per una singolare coincidenza qualche giorno prima era scomparso a 97 anni anche Bernardo Caprotti, fondatore della catena di supermercati Esselunga. In apparenza due storie diversissime, due persone agli antipodi per idee ed estrazione sociale, tuttavia curiosamente legate dall’amore viscerale per la propria creatura. Un piccolo punto vendita a Treviglio per Fausto e una super catena di supermercati per Caprotti.
La storia di Caprotti è la storia del genio, delle capacità e dell’intuizione di un uomo, che sarà in sella da solo fino alla fine. Per Fausto, invece, era inconcepibile un progetto che non fosse anche un cammino condiviso con gli altri.
Fausto Ferrari era più giovane di Caprotti, e la sua avventura ha inizio negli anni Settanta; insieme ad altre famiglie trevigliesi aderisce ad una cooperativa per la costruzione della sua casa. E proprio lavorando al giardino del condominio di via Papa Giovanni, in Zona Nord, nasce l’idea di fondare una cooperativa di consumo. Ed ecco l’intuizione: attraverso la cooperazione si possono approvvigionare beni di prima necessità a prezzi convenienti, ma contemporaneamente promuovere il miglioramento della società, perché l’atto di acquisto ha una valenza politica e, se direzionato in modo critico, può portare alla crescita civile, sociale ed economica di una comunità. Siamo di fronte alla nascita inconsapevole di quello che oggi chiameremmo un GAS: un gruppo di acquisto solidale. Con l’adesione di numerose famiglie a Treviglio e nei paesi vicini il gruppo cresce velocemente, basandosi all’inizio esclusivamente sull’apporto volontario degli aderenti. Le famiglie scelgono insieme i beni da acquistare, selezionano i fornitori sulla base di criteri etici condivisi, provvedono all’ordine e alla distribuzione dei prodotti. Negli anni il gruppo informale diventa prima un emporio ospitato nei locali del’ex Distretto militare (ora sede dei Servizi sociali), con introduzione della possibilità di acquisto anche direttamente in negozio e non solamente su ordine periodico; si struttura in società cooperativa nel 1972 e nel 1998 si trasferisce nei locali di viale Piave, dove si completa la transizione da gruppo di acquisto a cooperativa di consumo, ma senza mai tradire i valori iniziali. Di questa esperienza straordinaria, che prosegue ancora oggi, Fausto è stato ispiratore, testimone, simbolo e lavoratore instancabile. Ma mai solo per sé perché, come ripeteva sempre, la ragion d’essere e il vero patrimonio della CFL sono i soci.
Ho conosciuto Fausto appena trasferita a Treviglio; aveva un’aria mite che poteva facilmente ingannare lo sprovveduto: dietro l’aspetto pacifico infatti c’era una capacità infallibile di adocchiare l’aspirante (a sua insaputa) volontario, e di incastrarlo con un compito, un servizio, una necessità. È toccato anche a me, ed è stato amore a prima vista per lui e per la CFL. Gli anni trascorsi al suo fianco sono stati un’occasione unica per esplorare i valori della cooperazione e l’unicità dell’esperienza trevigliese. CFL è stato il primo punto vendita in Italia a distribuire libri (scolastici e non) scontati ai suoi soci; ha educato la comunità al consumo di prodotti a basso impatto ambientale, a partire dal biologico, organizza per i soci corsi e momenti di informazione e confronto, pubblica tuttora gratuitamente lo storico giornale “Gente che coopera”, una lettera sulla vita in Cooperativa e non solo.
Qui ho capito cosa significa essere socio: la tessera di chi coopera non è segno dell’appartenenza ideologica come quella dei partiti, né il mero strumento di servizio che ci propina la Grande Distribuzione tradizionale per farci consumare. Avere lo status di socio significa possedere una quota di un progetto la cui riuscita dipende anche dal nostro impegno. È segno di un diritto a partecipare e decidere, cui corrisponde una responsabilità.
La cooperazione risignifica i termini dell’economia classica: il commercio non è solo scambio di merci, ma il luogo di incontro di soggetti diversi. È uno spazio di relazione e resistenza contro l’individualismo imperante. Anche il concetto di profitto è innovativo: non la semplice differenza fra costi e ricavi, ma un’utilità che può essere condivisa con altri e differita nel tempo e nello spazio a tutela di soggetti terzi e generazioni future.
Fausto è stato per buona parte della sua vita al servizio di questo progetto, da perseguirsi innanzitutto attraverso il rapporto personale con il socio. Per lui la comunicazione non poteva prescindere dalla relazione e dal contatto umano. Era un gran lavoratore, ma mai con fretta; amava prendere gli appunti a mano e poi passare ore a ruminare i suoi scritti. Le ore trascorse a riscrivere i verbali di riunioni o assemblee con Maria, moglie, amica e compagna di una vita, erano per lui il piacere più grande. Era molto duro sui principi, ma riconosceva a chiunque il diritto di avere un’idea diversa, di esprimerla e di farla pesare nella decisione finale. Ricuciva sempre un contrasto e non serbava rancore; lo scopo ultimo dello stare insieme doveva prevalere sugli interessi e i limiti di ciascuno.
Credeva nei giovani, e nella necessità di indirizzarli ad obiettivi e valori alti. Viveva una fede profonda, che non aveva bisogno di ostentare; era un uomo di visione ed era convinto della possibilità di realizzare il cambiamento a partire da sé stessi. Ha combattuto una battaglia senza quartiere con la malattia; non si è opposto al suo destino ma non si è arreso, dando prova, se ce ne fosse bisogno, che ci sono dignità e senso anche nella sofferenza.
Proprio per questo mi piace pensare che, da qualche parte, in questo momento Fausto stia convincendo Il dottor Caprotti a cambiare quella riga del suo testamento in cui si dice che Esselunga non dovrà mai trasformarsi in una cooperativa, facendolo diventare un convinto sostenitore del principio “una testa un voto”.
Lucia Profumo da “La tribuna magazine”, novembre 2016