Dilaga, in questi giorni, la polemica sui sacchetti leggeri e ultraleggeri (con spessore inferiore ai 15 micron), utilizzati nei negozi e nei reparti ortofrutta, gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria, che ora devono essere biodegradabili e compostabili.
In realtà, rispetto al mese scorso è cambiato poco o niente: quel sacchetto che pensavamo esserci donato gratis dal supermercato, abbiamo scoperto avere un prezzo che, seppur minimo, è stato in grado di mandarci su tutte le furie. La normativa entrata in vigore non aggiunge un costo ulteriore per i consumatori («Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati»), ma piuttosto esplicita il costo stesso del sacchetto, al fine di aumentare la trasparenza e la consapevolezza ambientale di chi acquista.
“Le polemiche sul pagamento di uno o due centesimi a busta”, afferma il ministro Gian Luca Galletti, “sono solo un’occasione di strumentalizzazione elettorale, dato che appare evidente che si tratta di una operazione trasparenza voluta dal Parlamento unanime. Le buste più ambientalmente sostenibili e con una sempre maggiore percentuale di biodegradabilità sarebbero state comunque pagate dai consumatori, come del resto accadeva per quelle in uso fino al 31 dicembre, con un ricarico sul prezzo dei prodotti. Oggi il consumatore sa quanto costa l’impegno di ciascuno per la lotta alle plastiche e alle microplastiche che infestano i nostri mari e finiscono nella nostra catena alimentare”.
Nonostante da più parti si cerchi smontare le tante bufale che continuano a circolare sui sacchetti bio, la logica che sembra prevalere è quella del “È meglio non sapere”. Pronti allora con le soluzioni “alternative”, nel vano tentativo di non pagare i pochi centesimi richiesti: etichette su ogni prodotto, merce infilata nei guanti (perché quelli, in teoria, sono gratis), sterili polemiche e invettive alle casse.
Nel merito delle polemiche, il presidente del Movimento Difesa del Cittadino, Francesco Luongo, insiste sul fatto che non vi è alcun costo aggiuntivo per i cittadino e invita i Ministeri dell’Ambiente e della Salute a fare al più presto chiarezza.
“Invitiamo tutta la GDO a fissare ad 1 centesimo il prezzo del sacchetto, pareggiando le spese di produzione, in modo da non appesantire eccessivamente i costi a carico del consumatore”, dichiara Roberto Tascini, presidente dell’ADOC.
La novità dei sacchetti bio a pagamento, stando ai risultati di un recente sondaggio condotto da ADOC, non dispiace ai consumatori: il 65%, infatti, approva i nuovi shopper bio in ragione della loro sostenibilità ambientale, anche se va ad incidere sulle loro tasche. Un atteggiamento che andrebbe premiato abbassando, da un lato, il prezzo dei sacchetti, dall’altro prevedendo alternative all’uso di questi ultimi. Anche perché la Direttiva europea, base della normativa, non impone l’obbligo di far pagare ai consumatori i sacchetti ma solo di ridurre e disincentivare l’uso di materiali plastici.
Legambiente punta il dito contro le “bugie” che stanno circolando in questi giorni. “Da sempre” — ribadisce l’associazione ambientalista — “i cittadini pagano in modo invisibile gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno. La differenza è che dal 1° gennaio, con la nuova normativa sui bioshopper, il prezzo del sacchetto è presente sullo scontrino”.
Sulla questione del presunto monopolio di Novamont, Legambiente specifica che si tratta di una accusa senza alcun fondamento, dato che in Italia si possono acquistare bioplastiche da diverse aziende della chimica verde mondiale. Basta andare sul web e si possono trovare colossi della chimica italiana, tedesca, americana, del sud est asiatico, che producono bioplastiche. Tra l’altro l’Italia ha una leadership mondiale sul tema, grazie ad una società che è stata la prima 30 anni fa a investire in questo settore e che negli ultimi 10 anni ha permesso di far riaprire impianti chiusi, riconvertendoli a filiere che producono biopolimeri innovativi che riducono l’inquinamento da plastica.
Infine c’è la questione dell’utilizzo dei sacchetti monouso, un problema che si può facilmente superare semplicemente con una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa. In questo modo si garantirebbe una riduzione auspicabile dell’uso dei sacchetti di plastica, anche se compostabile, come già fatto coi sacchetti per l’asporto merci (che grazie al bando entrato in vigore nel 2012 in 5 anni sono stati ridotti del 55%).
“Le polemiche di questi giorni”, dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, “sono davvero incomprensibili: non è corretto parlare di caro spesa né di tassa occulta o di qualche forma di monopolio aziendale”.
A cura di Franco Sonzogni
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