Se dall’America non fosse arrivato il pomodoro, la dieta mediterranea non sarebbe diventata quell’esempio di alimentazione buona e sana che è; se non fosse arrivato il mais, un piatto secolare, che ha sfamato intere generazioni di contadini del nord Italia, la polenta non esisterebbe.
Le uniche filiere autosufficienti in Italia sono quelle del riso, del vino, della frutta fresca e del pomodoro e suoi derivati, delle uova e del pollo. In tutte le altre filiere vengono usate in tutto o in parte materie prime importate da altri Paesi.
Anche conservare è costoso. Frutta e verdura di stagione sono più buone e nutrizionalmente migliori. Nel sud del mondo le stagioni sono opposte a quelle del nord e diventa più conveniente importare ed esportare i prodotti, piuttosto che stoccare e conservare per mesi. A solo titolo di esempio conservare il grano da un anno all’altro può costare dal 12 al 16% del suo valore.
Il 30% del grano duro per la pasta italiana è importato.
Solo il 40% del grano tenero consumato in Italia è prodotto nel nostro Paese. Particolarmente apprezzato, per il suo elevato contenuto proteico, è il grano prodotto in Canada e negli Stati Uniti.
Il 90% dei legumi, ingredienti base di tanti piatti di tradizione, è d’importazione. A partire dagli anni Cinquanta la produzione nazionale si è via via ridotta, con una specializzazione nella produzione di legumi di spiccata tipicità . Attualmente il nostro elevato consumo viene soddisfatto importando legumi dall’America e dall’Oriente.
Solo l’80% dell’olio d’oliva consumato è prodotto in Italia, mentre per gli olii di semi la produzione nazionale scende a 1/3 del fabbisogno.
La bresaola è prodotta solo in piccolissima parte con carne italiana. Nel distretto IGP la bresaola viene prodotta secondo rigide regole che tutelano questo prodotto di tradizione, con carne importata dall’America e da altri Paesi europei. La produzione di oltre 11mila tonnellate l’anno rende ovviamente impossibile reperire in Valtellina la materia prima. Nemmeno tutti gli animali allevati in Italia sarebbero sufficienti.
Per quanto riguarda lo zucchero, per rispettare gli impegni internazionali di liberalizzazione, dal 2006 si sono progressivamente ridotte le quote di produzione europea dello zucchero derivante dalla lavorazione della barbabietola. L’Italia, storico produttore di barbabietole, è stato il Paese maggiormente penalizzato: la sua quota di produzione si è ridotta del 50% circa e gli zuccherifici sono passati da 19 a 4 e si sono persi oltre 2000 posti di lavoro.
Da “consumatori”