Con l’industrializzazione e l’uso indiscriminato delle risorse naturali abbiamo provocato una crisi climatico–ambientale e una galoppante perdita di biodiversità che non hanno eguali nella storia. Negli ultimi decenni abbiamo perso oltre 1/3 della biodiversità marina e terrestre. Attualmente su 8 milioni di specie viventi, un milione rischia di scomparire. Questo ci porta a essere testimoni e vittime della sesta estinzione di massa, la prima innescata da una specie sola, Homo sapiens.
SIAMO TUTTI CAUSA E BERSAGLIO DI UN MODELLO DISTORTO E NOCIVO
Il grande genetista Cavalli Sforza definiva la nostra specie “prepotente”: dove arriviamo vogliamo cambiare le cose. Siamo dei perturbatori nati non solo perché non ci adattiamo più all’ambiente, ma anche perché continuiamo a piegarlo per renderlo gradevole ai nostri fini inculcati dalla società neoliberalista.
Mi spiego meglio: l’appiattimento delle differenze (biologiche e culturali) è funzionale a un modello di mercato che prospera nel momento in cui, dall’Italia all’Argentina, siamo tutti bersagli di un marketing che cancella diversità e sovranità e ci rende consumatori degli stessi prodotti seriali e transnazionali.
Fagocitati come siamo da questa bulimia dei consumi, non ci rendiamo conto di essere immersi in una dinamica socioeconomica suicida il cui margine di uscita e di possibilità di consegnare alla future generazioni un pianeta vivibile, si assottiglia ogni giorno sempre di più. “Essere parte del piano” — il tema scelto per la giornata mondiale della biodiversità di quest’anno — è un richiamo all’azione collettiva (singoli individui, governi, organizzazioni, imprese) per conservare la biodiversità arrestandone la perdita in tutte le sue forme.
TUTELARE LA BIODIVERSITÀ A PARTIRE DALLA CULTURA
Come fare? Senz’altro non perseguendo la strategia adottata finora. Per salvaguardare il bello e il buono, il puro e l’immacolato, siamo stati soliti allontanarli dalle nostre azioni e dai nostri pensieri. Niente di più sbagliato! Né i santuari protetti, né tantomeno la ricetta cara ad alcuni economisti per cui i Paesi ricchi comprano pezzi di foresta con la promessa di tenerla intatta per compensare le loro attività inquinanti possono funzionare, perché emarginano la biodiversità dalle nostre vite quotidiane e dalla sfera spirituale.
In virtù dell’essere perturbatori nati, siamo stati abituati ad adottare una visione antropocentrica che vede la natura come un concetto separato dalla cultura, quando invece il nostro essere culturale è indissolubilmente interconnesso al nostro vivere nel mondo naturale.
Inoltre, anche dal punto di vista scientifico è ormai evidente questa correlazione. Ovunque nel mondo ci sia tanta biodiversità, c’è anche tanta diversità culturale, che si misura con la presenza di dialetti, ricchezza gastronomica, tradizioni popolari, ecc. Guardiamo all’Italia: le cause profonde che la fanno essere un hotspot di diversità biologica (avere un territorio irregolare con molte barriere geografiche, essere da sempre territorio di passaggio di popolazioni, avere decine di ecosistemi diversi) sono anche quelle che la rendono culturalmente così diversa. Quindi se vogliamo davvero tutelare la biodiversità, il primo passo dovrà essere riavvicinare la sfera della cultura a quella della natura. In questo l’ambito alimentare può essere il luogo prediletto da cui iniziare il cambiamento di rotta.
TORNIAMO A NUTRIRCI DI BIODIVERSITÀ
Quando parliamo di biodiversità infatti non possiamo dimenticarci della straordinaria varietà di vegetali e razze animali che nutrendoci, hanno sostenuto la nostra vita sulla Terra fino a oggi. Eppure il settore primario sembra essersene dimenticato. Per far fronte alla crescita della domanda di cibo (per lo più indotta) negli ultimi cinquant’anni abbiamo ridotto la biodiversità agroalimentare all’osso. Delle 8.803 razze animali allevate solo 3 (lo 0,03%), sono quelle che provvedono alla maggior parte del nostro fabbisogno: la frisona bovina, la large white suina e la ovaiola avicola. Mentre dal punto di vista delle specie vegetali poche varietà di patate, mais, riso e grano forniscono il 60% delle calorie necessarie alla popolazione mondiale.
PERCHÉ SERVE UN APPROCCIO ECOLOGICO, INTEGRALE E UMANISTA
Nutrirsi di biodiversità però è legato a doppio filo alla salute nostra e degli ecosistemi. La biodiversità fornisce servizi ecosistemici essenziali, come l’impollinazione e la fertilità del suolo. Consente di produrre cibo che nutre senza depredare le risorse naturali o richiedere ingenti quantità di chimica in campo o antibiotici negli allevamenti. In questo senso la biodiversità agricola e dietetica è garante della sicurezza alimentare.
Inoltre tutte le specie viventi sono soggette alla legge dell’evoluzione. Nascono, crescono, si stabilizzano e poi vanno incontro al decadimento. Se in campo alimentare continuiamo a concentrarci su poche varietà ad alta resa, rischiamo di trovarci in un mondo privo di alternative nel momento in cui queste varietà andranno incontro alla decadenza fisiologica o causata da agenti patogeni. Più difendiamo la salute dell’ambiente preservando la biodiversità, più difendiamo la nostra.
È tempo di adottare un approccio ecologico integrale e umanista. Gli interessi della natura, di cui facciamo parte ma che è più grande di noi, coincidono con i nostri. Difenderli a partire da ciò con cui quotidianamente scegliamo di nutrirci può essere il nostro contributo individuale per essere parte del piano.
Carlo Petrini fondatore di Slow Food