Nell’antichità il miele è sempre stato considerato prezioso, un dono inspiegabile capace di nutrire, curare e regalare un po’ di dolcezza agli esseri umani. La sua produzione nel corso dei secoli tuttavia è sempre stata molto circoscritta, poiché le varie popolazioni nella storia si sono limitate a una raccolta sporadica e non a una produzione attiva. Come testimonia Laura Prosperi, docente di Storia e cultura dell’alimentazione all’Università di Milano, per gli antichi il miele era un prodotto del cielo, di origine celeste. “Si pensava, infatti, che questo alimento si depositasse nella corolla floreale e che da lì fosse raccolto dalle api. Con alcune conseguenze: l’associazione con la manna biblica, e una certa valorizzazione, per così dire, mistica. Il rapporto fra ape e miele era chiaro, ma non era chiaro come venisse creato”. Oggi il miele viene consumato in modo decisamente più prosaico, come dolcificante o integratore, anche se in Italia, con una media di 700 grammi all’anno, si ha un consumo pro capite piuttosto basso rispetto agli altri Paesi europei.
Composto per circa l’80% da zuccheri, glucosio e fruttosio, si ha una percentuale di acqua variabile dal 16% al 19%, mentre il resto è costituito da circa 180 metaboliti secondari, tra cui enzimi, aminoacidi, vitamine, pollini e aromi naturali. Anche se povero di proteine e vitamine il valore nutraceutico del miele è fuori discussione, per via delle proprietà antibatteriche, antivirali e rinvigorenti. Non dobbiamo però dimenticare che, come tutti i dolcificanti, andrebbe utilizzato con moderazione. Il glucosio fa impennare l’indice glicemico, mentre il fruttosio, anche se con un indice glicemico inferiore, può far aumentare molto il livello dei trigliceridi nel sangue.
Liquido o cristallizzato?
Al di là degli aspetti chimici, colore, aromi e principi attivi variano in funzione della buona qualità del prodotto e dell’essenza floreale. La sua consistenza può essere più o meno fluida, o tendere al cristallino. Dopo l’estrazione dai favi, il miele tende a solidificare in un tempo variabile, in funzione della temperatura, ma anche del tenore di glucosio in esso presente. Non a caso le varietà con un alto contenuto di fruttosio, come quelli di acacia, castagno e melata, cristallizzano poco o nulla, mentre quelli con più glucosio, come quelli di girasole, edera o eucalipto, cristallizzano piuttosto velocemente. In presenza di basse temperature la cristallizzazione sarà ancora più marcata. Il miele prodotto su scala industriale in molti casi viene sottoposto a trattamento termico. In questo caso la pastorizzazione, a differenza di quanto accade per gli altri prodotti destinati all’alimentazione umana, non serve per scopi di conservazione o sanitari, ma solo per mantenere il miele fluido a lungo termine, quindi è del tutto inutile, considerando anche il fatto che a causa del riscaldamento perde irrimediabilmente gran parte delle sue caratteristiche nutrizionali.
Di fiori o di melata?
Il miele può essere monofloreale, quando ha prevalentemente un’unica origine botanica, oppure millefiori, quando le api non hanno a disposizione una specie botanica dominante, ma una moltitudine di piante diverse che fioriscono più o meno contemporaneamente. Tra le varietà più pregiate di monoflora si ricordano i mieli di acacia, castagno, corbezzolo, elicriso, sulla, rododendro e i più comuni mieli di tiglio, agrumi, girasole.
Il miele di millefiori può avere qualità e caratteristiche molto diverse e interessanti, secondo le caratteristiche botaniche dei luoghi.
Oltre al miele di fiori, ottenuto dal nettare, sul mercato si trova anche il miele di melata, prodotto dalle api dalla raccolta della sostanza zuccherina secreta da piccoli insetti omotteri. Si distingue dal miele di fiori per il colore ambrato, il sapore meno dolce, la consistenza fluida, l’elevata percentuale di fruttosio rispetto al glucosio e la ricchezza di sali minerali.
A cura di Margherita Doneda, Da “Terra Nuova”, ottobre 2017