Cibo per la salute

Vandana Shiva firma, insieme ad altri esperti internazionali, il manifesto “Food for Health”, un documento indirizzato ai governi di tutto il mondo per dire basta a un sistema economico che distrugge l’ambiente e ci fa ammalare sempre di più. Perché il diritto alla salute è quello di vivere sani, non quello di curarsi.

Il titolo del documento, Food for Health (Cibo per la salute), diviene allora la parola d’ordine di una campagna internazionale che intende riunire i movimenti ambientalisti e gli scienziati di tutto il mondo al fine di stimolare un cambio di paradigma necessario per passare da un sistema agricolo e produttivo basato sullo sfruttamento lineare delle risorse e delle ricchezze della natura a un approccio circolare, rigenerativo ed ecologico, capace di contrastare il crescente degrado ambientale, la povertà, le emergenze sanitarie e la malnutrizione. L’attuale modello produttivo dominante, basato sull’agricoltura industriale ad alto input chimico e sulla grande distribuzione, ha fallito i suoi obiettivi dal punto di vista sociale, occupazionale e culturale, contribuisce in maniera decisiva all’inquinamento del suolo e delle falde acquifere e immette nell’ambiente una notevole quantità di sostanze inquinanti che contribuiscono ai cambiamenti climatici e alla perdita della biodiversità. “La salute del pianeta e quella degli esseri umani sono una cosa sola” ci ricorda Vandana Shiva. Proprio la connessione fra cibo e salute è una di quelle relazioni spezzate che vanno necessariamente ricostruite. Il manifesto “Food for Health” intende porsi come strumento di riferimento per rilanciare e reclamare i diritti del pianeta e ditutte le sue forme di vita, per trasformare i sistemi di produzione alimentare colpevoli del degrado dell’ambiente e del nostro stato di salute in sistemi capaci generare benessere poiché, come sosteneva Vincenzo Migaleddu, già presidente dell’associazione dei medici per l’ambiente ISDE Sardegna: “Il diritto alla salute è il diritto di vivere sani, non quello di curarsi”. Quando si denunciano i danni che il sistema di produzione industriale, basato sulle monoculture intensive, procura alla biodiversità del pianeta è dunque necessario comprendere quanto gli esseri umani siano parte di quella stessa biodiversità e quanto ne condividano i rischi. C’è qualcosa di profondamente sbagliato se un sistema economico basato sul mantra dell’aumento della produzione ad ogni costo, non solo non ottiene i risultati che aveva promesso ma produce effetti collaterali di una gravità inaudita, esternalizzando i costi dei danni prodotti sugli Stati e quindi sui suoi contribuenti. Certo, quando andiamo a fare la spesa gli elevati costi ambientali e per la salute umana non sono riportati sul listino dei prezzi, alimentando così l’illusione del risparmio.
Insomma, l’aumento indiscriminato della produzione ai danni dell’ambiente e della qualità del cibo non solo non ha risolto i problemi, ma ne ha creati di nuovi. Non è una sorpresa, considerando che le multinazionali dell’agrobusiness sono da tempo impegnate ad appropriarsi di una quantità sempre maggiore di terreni coltivabili al fine di incrementare sempre più la produzione ed estendere il controllo sul settore agricolo attraverso l’acquisizione di brevetti sui semi, l’imposizione delle colture e il controllo dei prezzi. Le recenti inchieste Monsanto Papers e Poison Papers hanno portato alla luce le strategie messe in atto dai grandi gruppi dell’agrochimica per espandere il proprio impero.

Quali sono allora i costi reali di questo sistema produttivo, quelli che non leggiamo sullo scontrino del supermercato? La FAO ha calcolato che il “costo ambientale” dell’agricoltura a livello globale sia stimabile in 1,5 trilioni di dollari in relazione alla produzione agricola (170% del valore di produzione) mentre per la produzione animale i costi ammontano a oltre 1,18 trilioni di dollari (134% del valore di produzione). Il settore agricolo industriale può allora essere definito come uno dei maggiori componenti di quella “globalizzazione predatoria” che preferisce basarsi sull’efficienza del capitale anziché sul benessere delle persone. I mercati locali, inondati da cibo spazzatura a basso costo, perdono i loro contadini che, sotto la pressione di un sistema produttivo drogato, sono costretti ad abbandonare le loro terre. Ma quanto contano le scelte personali nel campo della buona alimentazione e quindi per poter condurre ua vita salubre? Sicuramente molto, ma bisogna riconoscere che non sempre siamo liberi di operare le giuste scelte giacché queste possono essere condizionate da molti fattori che, di fatto le rendono meno libere di quanto si possa pensare. È per questo che il manifesto “Food for Health” non intende rivolgersi esclusivamente ai singoli produttori e ai consumatori ma anche ai governi, responsabili del benessere dei propri cittadini e custodi dei loro diritti. Altro elemento essenziale per il cambio di paradigma è la cooperazione fra cittadini, agricoltori, università e ricercatori. Molte buone pratiche sono già state sperimentate. È il caso dei sistemi produttivi a filiera corta, dei biodistretti e dei mercati contadini a km 0, che si sono dimostrati capaci di offrire soluzioni agli sprechi alimentari, alle emissioni di carbonio, all’impronta ecologica e alle disparità di ricchezza. “L’alimentazione biologica” si legge nel manifesto “ha dimostrato non solo di presentare livelli inferiori di contaminanti e residui di pesticidi, ma anche migliori profili nutrizionali e non dovrebbe essere un privilegio per pochi, ma un diritto per tutti.

Nonostante parziali e incoraggianti aperture, dobbiamo essere consapevoli che il cambio di paradigma non sarà facile, né sarà agevolato da gran parte delle istituzioni, rese spesso miopi dai profitti a breve termine promessi dal business delle multinazionali. “Non dobbiamo arrenderci” scrive l’oncologo Franco Berrino. “Dobbiamo impegnarci affinché si torni a una buona agricoltura, che produca biodiversità. A fronte degli attacchi innumerevoli al cibo vero, dobbiamo agire senza esitazione già nella nostra pratica quotidiana per attuare la nostra resistenza alimentare e la nostra disobbedienza civile, che partono nel momento in cui facciamo la spesa”.

I tempi sono dunque maturi per entrare in una fase di transizione da un modello agricolo industriale, basato sulla concorrenza, a un modello ecologico rigenerativo basato sulla cooperazione e sull’utilizzo etico delle nuove tecnologie.

da “Terra nuova”, settembre 2018

Tra gli estensori del manifesto “Food for Health”:

  • Vandana Shiva: attivista e ambientalista indiana, da anni impegnata nella promozione di un’economia che metta al centro l’uomo e l’ambiente.
  • Franco Berrino: medico, patologo e epidemiologo.

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