L’alimentazione pesa in modo determinante sul clima

Nel mondo occidentale, l’agricoltura emette circa il 20% dei gas a effetto serra. Una volta giunto nei nostri piatti, il cibo ha ampliato la sua impronta climatica attraverso la catena del freddo, il trasporto, i processi di trasformazione in fabbrica, al ristorante, in casa. A seconda di ciò che scegliamo di mangiare, ogni boccone contribuisce all’accelerazione della macchina climatica o, al contrario, al suo rallentamento. Ogni singolo consumatore può fare la sua parte nella battaglia per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C di aumento medio della temperatura. Un valore già enorme. Il campo di battaglia Estrazione mineraria, deforestazione, polderizzazione, urbanizzazione, frammentazione dei territori, inquinamento di acqua, suolo e aria: abbiamo talmente superato le soglie della distruzione della biodiversità, con tutto ciò che ne consegue in termini di squilibri ecosistemici, da aver definitivamente cambiato la Terra e la natura che la abita.

È passato il tempo di discutere le cause di una crisi passeggera: siamo ormai sul campo di battaglia della guerra, già persa, ingaggiata contro la natura. È invece giunto il momento di guardare avanti, di trovare i percorsi di pace e ricostruzione di una vita che non sarà mai più com’era prima di riempire l’atmosfera di anidride carbonica. Dobbiamo renderci conto di aver sfruttato la Terra anche per i secoli a venire. Non siamo per forza di fronte a una catastrofe, ma bisogna accettare di ripensare il nostro modo di abitare la Terra.
Modi di vivere, spostarsi, lavorare, mangiare. Siamo all’alba di una metamorfosi e dipende solo da noi fare in modo che sia gioiosa e democratica. Una gastronomia compatibile con il clima L’agricoltura è il primo settore interessato dal cambiamento climatico, considerata la misura in cui il clima incide sull’insieme dei fattori e delle risorse necessari per un buon funzionamento delle attività agricole. Seppure contenuto e attenuato, il cambiamento climatico obbliga i contadini di tutto il mondo ad adattarsi, e i consumatori a cambiare dieta.

Il modello agronomico basato sui fertilizzanti minerali e di sintesi, l’irrigazione e la meccanizzazione dovrà essere necessariamente rivisto in funzione delle nuove condizioni pedoclimatiche, delle risorse idriche rinnovabili di­sponibili, della biodiversità e della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Dovremo consumare cibi locali, stagionali, meno proteine animali, scegliere varietà rustiche di prodotti vegetali, e ricorrere forse anche alle alghe o agli insetti per assumere le sostanze nutrienti necessarie per il nostro benessere. La nostra alimentazione cambierà. Per fortuna, l’agricoltura buona per il clima è buona anche per la salute. Inventeremo nuove ricette. Una metamorfosi gioiosa Un cambiamento così rapido, che si prospetta avvenire nei prossimi 20 anni, non può che realizzarsi nel contesto di un dialogo tra contadini e consumatori. Diversamente, ci si scontrerà sulla suddivisione dell’acqua, o sull’utilizzo della natura. In un mondo ormai urbanizzato nel suo funzionamento, persino in campagna, l’atto di mangiare è banalizzato, marginalizzato dal ritmo della città, ridotto a una necessità da sbrigare rapidamente, senza masticare e senza gustare gli alimenti.

Spostando l’attenzione sull’impronta di carbone delle scelte alimentari, il clima porta alla (ri)scoperta del cibo e delle persone che lo producono. Grazie al clima, la città si riconnette con la campagna. Il dialogo va condotto su un piano di uguaglianza, contrariamente al passato. Dovremo abbandonare il pensiero a compartimenti stagni, quello della logica tecnica che confina l’agricoltura alla monocoltura, che rinchiude il cittadino nel recinto del cibo spazzatura che rende obesi. Tutti, contadini e abitanti delle città, riscopriremo la portata, la potenza e la gioia di un cervello olistico, capace di comprendere non solo una cosa isolata, ma un intero ambiente. Per mangiare bene, e dunque produrre bene, svilupperemo un pensiero ecosistemico. Abbracceremo la complessità, abbandonando l’assoggettamento consumistico e diventando adulti. Gioiremo delle complementarietà offerte dalla geografia fisica e umana.

Che bell’obbligo è quello di far nascere fattorie intorno alle città, mulini, aziende alimentari regionali, piccoli negozi di quartiere. L’alimentazione brillerà simbolicamente per il suo legame con il senso di vicinato, con la natura e con il mondo intero. La produzione industriale di cibo è responsabile di gran parte delle emissioni di gas serra che stanno stravolgendo il clima. Ma a partire dal cibo, possiamo individuare le soluzioni possibili. E questo l’obiettivo di Menu for Change che ha avviato una campagna di raccolta fondi e comunicazione che mette in relazione cibo e cambiamento climatico. Il riscaldamento globale sta mettendo in difficoltà le nostre comunità contadine e insieme a Slow Food stiano trovando le soluzioni. Ogni contributo fa la differenza, aderisci a Menu for Change.

Gilles Luneau

Gilles Luneau è un giornalista e scrittore francese. È il direttore della rivista GLOBALmagazine. Collabora con Le Nouvel Observateur, Geo, Challenges. È un esperto di globalizzazione e questioni agro–alimentari, in particolare per quanto riguarda le relazioni tra l’uomo e la natura e tra la campagna e la città. Ha scritto e realizzato documentari per Arte, Canal+ e France Télévisions.

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