Una prima battaglia è vinta: Montecitorio vieta l’asta a doppio ribasso

Una prima battaglia è vinta. Con 369 voti favorevoli e 60 astenuti Montecitorio approva la proposta di legge 1549-A che vieta l’asta a doppio ribasso, ovvero quel meccanismo architettato dalla GDO per assicurarsi le migliori forniture a prezzi stracciati, mentre fa pagare tutto il prezzo del sottocosto ai braccianti agricoli e stagionali, fomentando fenomeni di sfruttamento quando non di caporalato.

«È di certo un importante passo verso una norma che possa porre le basi per una filiera più giusta che tuteli consumatori e lavoratori. L’ampio consenso parlamentare raggiunto fa ben sperare in un passaggio in Senato che possa ulteriormente arricchire la norma di tutele per le parti più fragili della filiera agro–alimentare: i braccianti e le piccole aziende dell’agricoltura contadina e familiare. Auspichiamo che nel decreto governativo, che questa legge richiede, possa trovare spazio anche la nostra proposta, già sottoposta al Governo, di indicare in etichetta il prezzo sorgente» commenta Giuseppe Orefice, membro del comitato esecutivo di Slow Food Italia.

“L’augurio è ora dunque che il Senato si pronunci presto, siamo in piena stagione di raccolta e l’eliminazione di questa pratica sleale potrebbe contribuire a migliorare il compenso di tanti lavoratori.

Come funziona questa pratica che finalmente sta per essere riconosciuta illegale lo facciamo spiegare a Stefano Liberti e Fabio Ciconte che la scorsa estate con una bella inchiesta su Internazionale, sfociata poi nel libro Il grande carrello. Chi decide cosa mangiamo (Laterza, Bari 2019) di cui vi consigliamo la lettura, hanno puntato i riflettori su questa bella arguzia della GDO.

«Il meccanismo di base è lo stesso di un’asta: da una parte c’è la GDO, che deve acquistare la merce, dall’altra le aziende fornitrici che fanno l’offerta. Con un’unica, non trascurabile, variante: vince il prezzo peggiore, non il migliore.»

In sostanza, attraverso due aste consecutive, i fornitori sono forzati a fissare prezzi sottocosto per i loro prodotti al solo scopo di “restare nel giro” e di non perdere il posizionamento in scaffale.

Un meccanismo che ovviamente poi obbliga questi stessi fornitori a rifarsi sui produttori, e questi ultimi sui lavoratori salariati, in un circolo vizioso che puzza dalla testa e che spesso si traduce proprio in fenomeni come quello del caporalato e dello sfruttamento nei campi appunto.

La proposta di legge firmata da Susanna Cenni (Pd), vieta proprio ciò che sta alla base del meccanismo: le aste elettroniche a doppio ribasso. Pena una multa che può andare dai 2.000 ai 50.000 euro (a seconda del fatturato dell’impresa che ha commesso la violazione) e, nei casi più gravi, il blocco dell’attività commerciale fino a 20 giorni. Inoltre il provvedimento punta a sostenere le imprese che promuovono filiere etiche di produzione. Entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, sarà adottato un decreto legislativo “per la disciplina di filiere di produzione, importazione e distribuzione dei prodotti alimentari e agro–alimentari che osservino parametri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica”.

A cura di Michela Marchi

fonte: slowfood.it

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