L’ATTUALE SICCITÀ ERA AMPIAMENTE PREVISTA

In questi giorni si parla molto di “allarme siccità” arrivando a paventare misure drastiche come il razionamento dell’acqua. Intervista alla climatologa Elisa Palazzi 

Come siamo arrivati a questo punto? 

Ci siamo arrivati perché abbiamo alle spalle un inverno molto siccitoso, a cui è seguita una primavera in cui le piogge sono scarseggiate. La situazione in cui ci ritroviamo adesso era perfettamente prevedibile, e infatti era stato previsto tutto quello che sta accadendo nel bacino del Mediterraneo, area particolarmente vulnerabile rispetto al cambiamento climatico. 

Il riscaldamento infatti avviene ovunque, ma alcune zone — il Mediterraneo, l’Artico e in generale le zone polari, le montagne — sono delle sentinelle che anticipano e amplificano i segni del cambiamento. Il Mediterraneo è un hotspot climatico posto in una zona di confine geografico fra i tropici e le medie latitudini e risente più di altre regioni di alcuni cambiamenti che si stanno verificando, per esempio, nella circolazione atmosferica. C’è un altro motivo: è una regione con alta densità di popolazione, il che significa anche che c’è un grande sfruttamento delle risorse. 

Insomma, nessuna sorpresa. 

Nessuna. Che il Mediterraneo sia un hotspot lo sappiamo da anni e con l’80% in meno di pioggia quest’inverno e il 60% in meno di neve in montagna era ovvio che all’inizio dell’estate si sarebbe presentata puntuale una carenza di risorse idriche. La neve in montagna è una fonte fondamentale di approvvigionamento, una riserva di acqua stoccata allo stato solido che normalmente utilizziamo poi nella stagione calda. In alcune zone delle Alpi è quasi del tutto mancata, cosa che non è stata compensata dalle piogge primaverili, perché anche quelle sono scarseggiate. I primi cinque mesi del 2022 che sono stati i più secchi dal 1950. Se a questo aggiungiamo anche un’ondata di calore fuori dalla media — la temperatura del mare in queste settimane è stata superiore fino a quasi 4°C rispetto alle medie climatologiche — il gioco è fatto. È stato calcolato che per colmare il deficit idrico dei mesi precedenti bisognerebbe che in Italia piovesse dappertutto per due settimane di fila! Che ovviamente non è quello che può accadere in una stagione come quella estiva. 

Anche la tragedia sulla Marmolada non è purtroppo una sorpresa… 

Purtroppo no. Come il Mediterraneo anche le montagne sono hotspot climatici, dove l’aumento di temperatura è stato almeno doppio, nell’ultimo secolo, di quello registrato in media sulla Terra. Le montagne, e quelle italiane non fanno eccezione, si scaldano e i primi a risentirne sono i ghiacciai che si ritirano. La neve si accumula poco e dura meno. E i rischi aumentano. Come dimostra il crollo del seracco verificatosi domenica 3 luglio sulla Marmolada, uno dei ghiacciai italiani che più ha risentito del riscaldamento globale, come evidenziato dal suo elevato tasso di fusione. Prevedere i singoli eventi catastrofici è difficile, ma il crollo avvenuto sulla Marmolada è un tipo di evento destinato a ripetersi in un contesto di riscaldamento globale. 

Sgombrato il campo dall’idea dell’emergenza, dunque, cosa andava fatto e non è stato fatto? 

Noi siamo piuttosto bravi a intervenire per tappare i buchi, per esempio adesso con i razionamenti, ma il problema è che anche tappare i buchi diventerà sempre più difficile se non si metterà mano finalmente a degli interventi più strutturali. Che nel caso dell’acqua sono innanzitutto quelli dell’ammodernamento della rete idrica per evitare le perdite, probabilmente della costruzione di bacini per la raccolta delle acque piovane. Forse dovremo anche rassegnarci alla costruzione di impianti di desalinizzazione, perché il problema non è tanto che non c’è acqua in generale ma che c’è sempre meno acqua dolce e ce n’è sempre di più nel mare, il cui livello, a causa del riscaldamento globale e della fusione dei ghiacci, sale sempre di più. “Rassegnarci” perché si tratta di impianti molto costosi e anche dispendiosi in termini energetici. In una prospettiva di ancora più lungo termine dovremmo poi anche ripensare l’utilizzo dell’acqua, modificando per esempio il nostro modello di agricoltura, di allevamento ecc. Si tratta di interventi che hanno il respiro lungo della pianificazione e non quello corto delle scadenze elettorali, per cui la politica non riesce a essere davvero incisiva su questi temi. Pensiamo sempre a curare anziché a prevenire, finché arriverà il giorno in cui curare non sarà più possibile. 

Non ci sono dunque motivi di ottimismo? 

Noi abbiamo il dovere di essere ottimisti e io sono convinta che di fronte alla valanga di dati e informazioni fornite quotidianamente dalla scienza prima o poi anche la classe politica si renderà conto di quali siano le misure necessarie. Spero solo che quando questo accadrà non sia già troppo tardi perché il clima ha anche una sua inerzia per cui se vogliamo ottenere dei risultati da qui a 10 o 20 anni, dobbiamo agire immediatamente. Più andiamo lenti, più la finestra di tempo a nostra disposizione si riduce. 

Cinzia Sciuto 

fonte: micromega.it, 4 luglio 2022

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