QUANTO VALE UNA VITA?

Nata ad Addis Abeba 43 anni fa — avrebbe compiuto gli anni l’1 gennaio, — nel 2010 Agitu Ideo Gudeta era fuggita dalla capitale etiope perché, denunciando il land grabbing, ovvero l’accaparramento delle terre, era stata raggiunta da pesanti minacce. Giunta in Italia — o meglio, tornata in Italia, dove già aveva studiato sociologia — era stata dunque riconosciuta come rifugiata, decidendo di fermarsi in Trentino Alto Adige. Lì aveva fondato l’azienda “La capra felice”, ponendosi l’obiettivo di salvare dall’estinzione la capra mochena www.fondazioneslowfood.com/it/arca-del-gusto-slow-food/capra-pezzata-mochena, fortemente a rischio sia per le difficoltà legate al suo allevamento sia per gli attacchi degli orsi. 

Presto l’incontro con Slow Food: nel 2015, in occasione di Cheese, le era stato assegnato il Premio Resistenza Casearia. 

«Agitu avrebbe avuto successo in qualsiasi parte del mondo, con qualsiasi colore della pelle, perché era una donna di un’intelligenza superiore, con una capacità imprenditoriale fuori dal comune, capace di attirare simpatie e solidarietà». 

Angelo Carrillo, fiduciario di Slow Food Alto Adige, ricorda con queste parole Agitu, uccisa il 29 dicembre. È morta a Frassilongo, nella sua amata valle dei Mocheni, una ventina di chilometri a est di Trento, nel luogo dove aveva scelto di vivere dopo essere stata costretta a lasciare il suo Paese. 

Allevava capre, produceva formaggi, coltivava ortaggi. Partecipava al Mercato della Terra di Slow Food a Bolzano: «Le piaceva la città, si sentiva un po’ alto–atesina e qui aveva ricevuto una bellissima accoglienza — prosegue Carrillo. — Di recente le avevo chiesto se volesse diventare portavoce del mercato di Bolzano: un gesto sì simbolico ma soprattutto pratico, perché si dava molto da fare». 

Agitu era anche una vera attivista. Dal suo maso, sperduto in una vallata, si è spesa per l’integrazione, impegnandosi in una lotta antirazzista realmente senza confini: aveva ad esempio incontrato un musicista curdo rifugiato in Trentino, Serhat Akbal, con cui aveva organizzato alcune occasioni di incontro. 

«L’allegria di Agitu era contagiosa, nutriva la voglia di superare ogni barriera, qualsiasi discriminazione. Ha sempre dato fiducia a tutti, è stata antirazzista nel vero senso della parola,» ricorda Nereo Pederzolli, giornalista Rai e tra i primi a portare la filosofia di Slow Food in Trentino, alla fine degli anni Ottanta. 

E accanto a tutto questo portava avanti molte idee imprenditoriali: «Stava ristrutturando l’asilo di Frassilongo per farci una fattoria didattica e un agritour — prosegue Pederzolli — e senza lo stop dovuto alla pandemia di Covid–19 i lavori sarebbero già stati conclusi». Di recente, a Trento, aveva aperto un negozio dove vendere i suoi formaggi, gli ortaggi e persino alcuni preparati di cosmesi che aveva cominciato a produrre. 

«Era una persona con una forza unica,» la ricorda Sergio Valentini, portavoce di Slow Food Trentino–Alto Adige Südtirol. «Intraprendente, determinatissima, un animo buono: non conosco molte altre persone così. Mi ha sempre sbalordito il fatto che sia andata a vivere in una comunità particolare come la valle dei Mocheni, un luogo bellissimo ma dove vivere può essere anche difficile, dove ad esempio si parla la lingua mòchena. Eppure è riuscita a farsi strada e ben volere dai più. Speriamo diventi un’icona per nuove generazioni. Slow Food Trentino–Alto Adige Südtirol c’era quando Agitu è arrivata in val di Gresta, prima ancora che in valle dei Mocheni: abbiamo compreso fin da subito il suo valore, la sua stoffa, e l’abbiamo voluta al nostro fianco. Lei non si è mai fermata, il suo impegno e le sue attività la hanno portata ancora oltre. Oggi ci uniamo al dolore e rivolgiamo a lei i nostri pensieri». 

«Agitu credeva profondamente nella dignità del lavoro, della terra e delle persone e su questi valori aveva impostato la propria attività,» conclude Carrillo. «Aveva ereditato dai propri antenati la capacità di amare e allevare gli animali, mentre in questi boschi aveva trovato la pace. E naturalmente sapeva fare formaggi eccellenti, prodotti che comunicano una personalità fuori dal comune». 

Elisabetta Nardelli, responsabile dell’ufficio produzioni trentine di Trentino Marketing, è la persona che ci ha fatto conoscere Agitu, portandola a Terra Madre Salone del Gusto 2014 e facendone una delle protagoniste della presenza trentina a quella edizione dell’evento. Qui il ricordo: 

«Agitu, la mia amica: un incrocio di vite nato sui pascoli, che si è stretto e rafforzato intorno a tavole imbandite, fra i brindisi e i sorrisi della compagnia allegra che in questi anni abbiamo costruito e coltivato insieme. Perché le amicizie sono proprio come i frutti della terra e come gli animali: ci si prende cura di loro, con amore, pazienza e tempo e si vedono crescere sani, riconoscenti e felici, proprio come erano le sue capre. 

«Agitu, un simbolo: oltre il sorriso candido alla bancarella, gli occhi profondi e l’accoglienza in negozio, le mani affusolate ed eleganti che accarezzano premurose le capre o che incartano il formaggio, è diventata negli anni qualcosa di molto più di questo. Ha saputo andare oltre al sogno, all’idea, per farsi prassi, atto concreto. Ha saputo incarnare la determinazione, l’indipendenza, l’integrazione e questa non solo in termini sociali, ma anche ambientali. Perché Agitu ha capito il territorio, l’ha conosciuto e lo ha saputo rispettare e promuovere, arricchendolo. 

Ora questo ambiente si è impoverito, proprio come quando si guasta per sempre l’equilibrio di un ecosistema. Abbiamo perso la parte migliore di noi. E non possiamo permettercelo. Per questo voglio fare tutto ciò che mi sarà possibile per preservare quanto rimane di questo ecosistema prezioso, e per far sì che le sue idee, ma soprattutto la realtà che ha saputo creare, non vada perduta e continui a custodire il suo spirito così speciale». 

Quanto vale una vita? E quanto una vita spesa per migliorare il mondo? 

Da oggi siamo costretti a non parlare più con Agitu, ma solo a ricordarla. E il nostro ricordo non si limiterà a ringraziarla per quanto ha fatto; ci porteremo dentro il dolore per non essere stati capaci a difenderla. Di persone come Agitu, però, ce ne sono tante, in ogni territorio, accanto a ciascuno di noi. Ed è — ora più che mai — nostro compito evitare che lei abbia vissuto invano. 

Marco Gritti e Antonio Puzzi 

fonte: slowfood.it

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