Alla fine di questo 2020, così particolare e duro, proviamo a fare qualche previsione su come sarà la ristorazione di domani, consapevoli che molto dipenderà dall’andamento dei prossimi mesi. Proviamo però a essere positivi, a immaginare che nel corso dell’anno nuovo, in un periodo breve, le cose possano ricominciare a girare, le sale di ristoranti e osterie a riempirsi. Che locali incontreremo?
Parlando con diversi ristoratori c’è la consapevolezza diffusa che il domani non potrà, e non dovrà, essere come il passato: questa crisi ha consentito di mettere sul tavolo alcuni temi che possono segnare una svolta. La convinzione, anche nostra, è che la ristorazione dovrà fare i conti con la crisi ambientale.
Per farlo dovrà necessariamente ripensare il modo di rifornirsi, puntando ancora di più sui prodotti di prossimità, su aziende virtuose che con il loro lavoro attivano un sistema di conservazione e di tutela del territorio, di promozione della biodiversità e di varietà che faticano a trovare spazio nella grande distribuzione e che invece, alle tavole di ristoranti, osterie e pizzerie possono essere valorizzati e diventare il vero punto di forza.
Dovrà essere vera e liberata dalle aspettative verso quelle tradizioni che ormai non trovano più materie prime e legami con il territorio nel quale erano nate. Dovrà essere interconnessa con il proprio intorno anche in funzione di quello che saprà restituire a esso. Dovrà essere pensata, sempre di più, per una clientela locale, che torni ad avere nell’osteria del paese o del quartiere il proprio punto di riferimento e con la quale costruire un rapporto continuativo che possa andare al di là del semplice consumo di un pasto una tantum.
Una ristorazione nella quale la diversità sia maggiormente ricercata, perché è dall’incontro tra generi, provenienze e culture che possono nascere le idee e le soluzioni adatte ad affrontare nuovi momenti di crisi. Una ristorazione che, finalmente, possa abbandonare antiche strutture che la fanno assomigliare più a un esercito che non a una comunità. E dovrà essere liquida; capace di adattarsi alle situazioni che andranno via via profilandosi, senza per questo perdere di identità. Dovrà essere, infine, in grado di creare nuove forme di contatto con il cliente, che le consentano di non dimenticare l’innata e insostituibile capacità di osti e ristoratori di accogliere e fare sentire a casa chiunque si affacci alla loro porta per un pasto, un calice di vino o, magari, un pacchetto da portare via e consumare tra le proprie mura.
Eugenio Signoroni
fonte: il manifesto, 24 dicembre 2020