SAN MARTINO NELLA TRADIZIONE CONTADINA

Una data importante per la vita contadina era l’11 novembre, San Martino. In quella data per tradizione scadono, ancora oggi, i contratti agrari, e scadevano anche i contratti dei salariati, la manodopera necessaria in gran numero quando i macchinari agricoli ancora non esistevano o non erano così diffusi. 

I salariati e le loro famiglie abitavano in grandi cascine, dotate di aree comuni, alloggi per le famiglie e talvolta di una propria chiesetta. A San Martino, nelle campagne, i salariati potevano essere riconfermati, nel qual caso rimanevano nella cascina dove avevano trascorso l’anno, oppure no, e questo capitava quando il fattore, colui che per conto della proprietà gestiva l’azienda agricola, non era soddisfatto del loro operato. 

Se non veniva rinnovato il loro contratto, a San Martino dovevano andarsene, con la famiglia e le masserizie caricate su un carretto; è il motivo per cui in milanese “fare San Martino” è sinonimo di traslocare. Era una giornata in cui si mescolavano sentimenti e stati d’animo contrapposti: chi rimaneva era sollevato e contento, chi partiva era triste, perché lasciava una rete di affetti e luoghi conosciuti, con l’incertezza del futuro; poi c’erano le famiglie nuove che arrivavano, con il loro carico di aspettative e di speranze. 

Molte delle grandi cascine ancora presenti nel trevigliese sono databili alla seconda metà del Settecento: il lavoro manuale per la coltivazione dei campi è diventato nel tempo sempre meno necessario, facendo scomparire e spopolare queste realtà; gli ultimi salariati sono andati via dalle cascine negli anni Sessanta del secolo scorso. 

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