L’EREDITÀ DEL PROFESSOR VERONESI

Il 28 novembre è un giorno speciale: in quella data, nel 1925, nasceva il professor Umberto Veronesi. È stato una figura di riferimento per la lotta ai tumori e per la cultura scientifica internazionale, ha dato impulso e innovazione alla ricerca medica italiana e ha rivoluzionato la percezione della malattia oncologica. 

Anche se ci ha lasciato nel 2016, la sua eredità è più che mai viva ancora oggi. 

La medicina della persona, gli studi pioneristici sulla quadrantectomia, l’etica vegetariana. Il pensiero e la visione di Umberto Veronesi, anche a distanza di anni, restano incredibilmente attuali. Riproponiamo qui 3 suoi contributi. 

1. «Siamo nell’era della medicina della persona. Bisogna curare non la malattia, non l’organo, ma la persona, spostando il focus sul paziente nella sua integrità psicofisica e sociale». 

Forse perché il cambiamento è stato graduale, non tutti ne hanno preso coscienza: malattie che uccidevano ora guariscono, oppure a pieno titolo si sono trasformate in malattie croniche, con cui si riesce a convivere per uno spazio di tempo che a volte coincide con quella che si può considerare una durata standard della vita. È il caso dell’infezione da HIV, è il caso di tumori come quello della prostata e del seno (grazie alla diagnosi precoce, guariscono al 90%), è il caso delle leucemie infantili. 

Si tratta di buone notizie, che però devono anche produrre un cambiamento nella medicina e nei medici. La medicina deve restituire alla società una persona capace di vita affettiva, sociale, lavorativa. E deve nascere un medico nuovo, che non può più curare un malato senza mettersi sul suo stesso piano, parlargli e sapere chi ha di fronte e qual è la sua visione e il suo progetto di vita. Siamo nell’era della medicina della persona. Questo è particolarmente vero in quella che possiamo chiamare la riabilitazione oncologica. Una persona che ha avuto un tumore da cui è guarita, è stata comunque segnata pesantemente, e il problema è ancora più delicato quando la persona si trova a convivere con una malattia che viene tenuta sotto controllo, ma che non guarisce. 

Bisogna forse confessare francamente che la scienza medica è impreparata alla svolta. Forse conviene prendere in considerazione la sottile ma fondamentale differenza con cui la lingua inglese definisce la malattia: illness è la malattia come la vive soggettivamente il malato, mentre disease è la malattia osservata e oggettivata dal punto di vista scientifico. La pratica biomedica si preoccupa soltanto di assimilare completamente la prima nella seconda. 

È proprio ciò che non si deve fare, ed è qui che si determina la sfalsatura. La riabilitazione oncologica, di cui si è cominciato a parlare da poco, non è un insieme di norme, o di esercizi fisici, o di accorgimenti. Deve invece, necessariamente, partire da una specie di antropologia della salute, che vede il paziente al centro, con tutta la sua soggettività. 

2.L’importanza del sostegno alla ricerca e alla sperimentazione. Umberto Veronesi è stato il primo medico a credere di poter operare il tumore al seno con un approccio conservativo; nel 1973 iniziò uno studio pionieristico che portò all’adozione della nuova tecnica della quadrantectomia. 

1977: Un farmaco anti–estrogenico, inizialmente sperimentato come anticoncezionale, viene approvato come trattamento per il tumore al seno. 

1981: Inizia l’era della chirurgia conservativa (si rimuove solo la parte affetta da tumore, non tutto il seno come con la mastectomia), combinata alla chemioterapia. 

1984: Si scopre che alti livelli della proteina HER2 sono spesso associati a tumori con esito infausto. Ciò permette di sviluppare un anticorpo monoclonale che colpisce specificamente e efficacemente quella proteina. 

1994–1995: Vengono identificati i geni che, mutando, aumentano il rischio di sviluppare il tumore al seno, alle ovaie e ad altri organi. Vengono messi a punto i primi test genetici per prevenire l’insorgenza. 

2006–2018: Viene commercializzato un vaccino contro il papillomavirus, che può portare al tumore della cervice uterina, ma anche oro–faringeo. 

3. Nutrire l’umanità. «I ricercatori giapponesi delle Università di Tokyo e di Osaka cercavano conferma che è possibile un’associazione tra dieta vegetariana e pressione arteriosa più bassa. Hanno ricercato sul web, in particolare nell’enorme database bibliografico di Medline, tutto ciò che è stato scritto in inglese sulle diete vegetariane 1900 al 2013. E così il web esprime all’ennesima potenza il suo significato di “rete”, per una pesca negli abissi, che riporta alla superficie dati, osservazioni, confronti, contestazioni, improvvise lame di luce nel buio. 

La risposta è stata affermativa: i valori pressori dei vegetariani erano nettamente più bassi, sia come “massima” che come “minima”, di quelli presentati dalle persone onnivore, cioè che mangiavano tutto, carne inclusa. Con tanti dati in mano, quindi ormai la certezza c’è. Gli autori dello studio hanno potuto anche lanciare un’idea nuova e interessante: in alcuni casi, la dieta vegetariana potrebbe addirittura sostituire i farmaci anti–ipertensivi. 

Mi auguro che man mano la nostra cultura alimentare si decida a cambiare, ad abbandonare la carne. Non solo per rispetto della vita degli animali («Gli animali sono nostri fratelli, e non si devono considerare oggetti a nostra disposizione», diceva Margherita Hack), ma perché abbiamo il dovere di ragionare sul modello di sviluppo del nostro pianeta, e garantire la possibilità di sopravvivenza per tutti. È arrivato il momento — oggi, non domani — di fare una scelta tra nutrire gli uomini e nutrire gli animali che facciamo venire al mondo per cibarcene. 

Se si fa la scelta vegetariana, è possibile nutrire tutta l’umanità. Pensiamoci».

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